Al Parco dei Gessi Bolognesi, nell’area dei Calanchi della Badessa a San Lazzaro, precisamente nella Dolina dell’Inferno è avvenuto un ritrovamento incredibile nell’ambito dell’archeologia: un cranio di 5.500 anni.

Il Gruppo Speleologico Bolognese, impegnato nella mappatura idrogeologica della grotta Marcel Loubens con l’obiettivo di verificarne ulteriori prosecuzioni, si è imbattuto in una cavità verticale molto stretta (detta “pozzo” o “camino”) di una quindicina di metri. E proprio qui, fra varie concrezioni è emerso un cranio umano. 

Quella che inizialmente doveva essere una semplice mappatura si è trasformata in una straordinaria opportunità per il mondo scientifico.

La dr.ssa Lucia Castagna, archeologa e speleologa del GSB-USB responsabile del recupero

Il Meandro della Cattiveria

Per accedere al camino occorreva attraversare un meandro strettissimo, con curve a 360 gradi che hanno reso difficoltoso il passaggio degli stessi speleologi. Non a caso è stato soprannominato il Meandro della cattiveria.

Il difficile recupero

Dal momento della scoperta molte menti si sono impegnate per organizzare le operazioni di recupero e la messa in sicurezza del reperto. Riportare il cranio alla luce è stato possibile attraverso un lavoro di squadra. Ben undici persone, tutti volontari del Gruppo Speleologico Bolognese, si sono adoperate fino alla fase conclusiva: un passamano che ha permesso il successo dell’operazione.

 

 Sopra al reperto i sedimenti di una frana che hanno probabilmente coperto l’apertura originaria.

Rituali di manipolazione delle ossa dopo la morte

Quello che si sta chiedendo la soprintendenza e si sta cercando di capire è se il cranio si trovava lì per caso o se una volta sepolta, la giacitura primaria sia scivolata insieme alla frana. Un altro aspetto da cosiderare è che all’epoca dell’Età del rame esistevano vari rituali della manipolazioni delle ossa dopo la morte. Questo spiegherebbe perchè sia stato rinvenuto solo il cranio e non il resto del corpo che tuttavia potrebbe trovarsi ancora lì, sepolto dalla frana.

Nella vicina grotta del Farneto (distante circa 500 metri) sono state rinvenute molte ossa non in connessione, probabilmente manipolate dopo la scheletrizzazione. Di quello che avviene nelle ossa dopo la morte spesso rimane traccia. In alcuni emergono segni di fuoco oppure delle erosioni meccaniche.

Oggi abbiamo gli strumenti per capire se una ferita è stata inferta quando il soggetto era ancora in vita oppure successivamente. Infatti quando il tessuto osseo è vivo reagisce con processi di riparazione come la calcificazione. Riguardo questo ritrovamento però le indagini scientifiche sono ancora in corso. Ci sono tante domande e tante possibili risposte. Portare alla luce il reperto è stato un grande passo ma è solo l’inizio di un’affascinante avventura tutta da scoprire.

Ad oggi cosa si è scoperto?

Una serie di calcoli ci porta a credere con elevata probabilità che il cranio sia appartenuto a una giovane donna dell’Età del rame. Il reperto si colloca tra i 5.300 e 5.500 anni fa. Attualmente è oggetto di varie analisi scientifiche presso il Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, coordinate dalla Soprintendenza. Ci sono ancora moltissime domande a cui rispondere, sarebbe interessante studiarlo in un contesto generale. cioè riprendendo lo studio delle vecchie collezioni del Museo Civico Archeologico di Bologna unitamente all’Università di Bologna. In Archeologia non è importante il singolo reperto ma la vita degli esseri umani dell’epoca.  Questo ritrovamento ha riaperto opportunità di studi di cui non si parlava più da anni.

Come la nostra antenata sia finita lì forse non lo sapremo mai con certezza. Ora l’aspetto più affascinante è formulare delle ipotesi e cercare le possibili risposte.

 

Un ringraziamento speciale a Lucia Castagna per la disponibilità e il tempo che mi ha dedicato.

 Elisa Barbari

 

Elisa Barbari | Blog Bologna | © 2018 – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione