Per le festività natalizie sulle nostre tavole non mancheranno scodelle colme di tortellini fumanti per deliziare i nostri palati. Una tradizione antica, ma come è cambiato col tempo il rito di preparazione di questo pasto prelibato? Scopriamolo attraverso il racconto di un bolognese DOC:

<<Nelle case dei bolognesi, il giorno prima di Natale, si faceva il rito dei tortellini. L’arzdora aveva già comperato tutti gli ingredienti e tutti i componenti della famiglia erano avvisati che dovevano collaborare.

Al pchèr (il macellaio) aveva fornito il cappone per fare il brodo, e anche la zònta (l’aggiunta) di un osso con ancora l’ambròlla (midollo). Poi, ci voleva il lombo di maiale, un pezzo di mortadella, il parmigiano stagionato e un pezzo di prosciutto per fare il ripieno.
Ci voleva la farina e le uova fresche per fare la sfoglia con il mattarello. Poi ci volevano “gli odori”, la cipolla, il sedano e la carota, noce moscata…e altri ingredienti segreti di ogni arzdora.
Il giorno prefissato, la tavola era sgombra e sopra c’era il tulìr (tagliere), il mattarello, le uova e la farina.
L’impasto di farina e di uova era già stato messo a riposare dentro un burazz (telo), e fin dal giorno prima anche la carne per il ripieno (il lombo era stato scottato nel burro, prima di passare il tutto nel tritacarne.).

Per noi bambini era uno spettacolo osservare l’abilità della mamma che stendeva sapientemente la sfoglia fine fine, facendo larghi gesti acrobatici nel girarla e allargarla.

Ogni gesto che faceva era come una meraviglia.

Ci gettava sopra un poco di farina e la spandenva con le mani. Veniva un larga e rotonda sfoglia di pasta giallina e profumata che trabordava il bordo del tavolo. E attorno c’eravamo tutti, perché bisognava lavorare insieme per fare i tortellini prima che la sfoglia si seccasse.

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C’era tutta la famiglia e si celebrava un rito antico di comunione.

Attorno , ognuno aveva il suo compito. C’era chi tagliava usando la spronella. e chi subito metteva un pizzico di ripieno sopra a ogni quadrettino. Poi, bisognava fare l’operazione più difficile di sapere chiudere il tortellini nella forma precisamente canonica. E qui si ammirava l’abilità di chi li faceva meglio, ma la mamma permetteva anche a noi bambini di provare a farli, e ci insegnava con parole affettuose, anche se non ci venivano bene. Così potevamo avere il piacere di partecipare e d’imparare.
C’era sempre qualcuno che si metteva in bocca pezzetti di sfoglia ed anche un tortellino già fatto, così…per sentire com’erano venuti.
Il vero valore della preparazione dei tortellini non era solo la loro lavorazione, ma era soprattutto dato dal sapersi trovare tutti uniti in famiglia, creando un ambiente affettuoso e cordiale, con anche parole scherzose e risate. Si sentiva l’atmosfera dei giorni del Natale, che erano giorni festosi e di visite tra parenti e amici.
I tortellini erano fatti, e si mettevano stesi ad asciugare su un telo, distanziati per non farli attaccare tra loro. Erano già fatti, e la mattina dopo si sarebbe sparso per la casa l’odore del brodo, che gorgogliava nella pentola.

Era la festa del Natale e si sentivano suonare le campane. Un giorno di festa che esprimeva il senso della famiglia, una festa che era stata preparata dall’antico rito di fare, tutti insieme, i famosi tortellini di Bologna.>>

Grazie ad Ezio Cesari per questo suo ricordo e racconto.

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Elisa Barbari | Bologna | © Copyright – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione.