Oggi vi porto a nord della nostra penisola, in un’area un tempo adibita a manicomio. Parliamo di  quasi 170.000 metri quadrati, praticamente una città. Negli anni Settanta contava oltre 2000 persone fra pazienti e dipendenti. Una struttura rimasta in vita fino al 1981 poi la chiusura con l’entrata in vigore della Legge Basaglia, infine il declino.

La struttura manicomiale era completamente autosufficiente, dotata di padiglione ospedaliero per la diagnosi e la cura, ma anche di lavanderia, mensa e forno per il pane e luoghi di culto. Non mancavano le celle di detenzione per contenere i pazienti definiti furiosi cioè i casi più critici, imprevedibili e aggressivi. Mezzi di contenzione, camice di forza, cinghie e grate per costringere al letto e chissà quali altri sistemi utilizzati in epoche non certamente illuminate dalla scienza moderna.

Ecco come appare oggi la struttura, dopo oltre trent’anni di abbandono. La vediamo attraverso le foto di  Elledecay:

«C’erano i furiosi e c’erano i tranquilli. Tra i chilometrici corridoi, i cortili interni e i pavimenti gonfi e inclinati dal tempo e dalle infiltrazioni, si percepisce ancora la sofferenza dei malati psichiatrici ricoverati qui un tempo. All’interno di queste mura decadenti sembra di essere in una bolla temporale in cui si è bloccati in un’epoca passata»

Da queste immagini affiora il dolore, la malinconia ma allo stesso tempo le rovine, i calcinacci sconnessi e impolverati conferiscono al luogo una nuova veste. Nulla è più com’era, tutto è cambiato. Come se il degrado e l’abbandono fossero riusciti in qualche modo a fare breccia. Una nuova luce ha investito tutto ciò su cui si è posata donandogli una nuova identità. Non migliore o peggiore, semplicemente diversa, un inno alla tanto agognata libertà.

 

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Foto Elledecay
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