Bologna, 1472. Cesare Caccianemici, vedovo di Elisabetta Malvezzi, viene assassinato da Antonio Lini. O almeno così si vocifera in città. Antonio teme per la propria incolumità e decide di rivolgersi al Signore di Bologna: Giovanni Bentivoglio per ricevere protezione. Giovanni intercede per il suo protetto ottenendo garanzia che nessuna offesa gli sarà arrecata. Ma i Caccianemici, assetati di vendetta uccidono Antonio Lini, disattendendo la parola data. Il Signore di Bologna, tradito e offeso, non tarda ad abbattere la propria ira su casa Caccianemici rivendicando il proprio potere col fuoco e col sangue.
Questi i fatti realmente accaduti. Ma vediamo di raccontarli così come penso possano averli vissuti i protagonisti.
Cesare Caccianemici è rimasto vedovo. I suoi pensieri corrono spesso ai ricordi di giovinezza, quando l’amata Elisabetta varcò per la prima volta la soglia di palazzo Caccianemici. Com’era bella e fiera mentre attraversava la città per essere consegnata al suo sposo. Com’era luminosa con gli occhi colmi di gioia e il cuore in gola di chi comicia una nuova avventura. Ma ormai era tutto finito. L’amore dà, l’amore toglie e in questo caso era stata la morte a strappare Elisabetta alla vita che aveva tanto sognato.

Ritratto di dama, Leonardo da Vinci
Un nuovo inizio
Dopo un periodo di tempo indefinito -che a Cesare pareva essere un’eternità- aveva finalmente voltato pagina, deciso a rifarsi una vita. Da qualche tempo frequentava una giovane nobile bolognese, forse un po’ troppo vanitosa ma interessante abbastanza da pensare di poter porre le basi per un legame duraturo. Ed ecco che si apriva per lui un nuovo scenario, un nuovo futuro. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure stava fantasticando di convolare a nuove nozze. Si erano dati appuntamento quella sera, quella tragica sera in cui accadde l’inimmaginabile. Cesare, vestito di tutto punto scende in strada e si avvia a passo sicuro verso casa della nuova amata. Appena svoltato l’angolo sente un colpo sordo alla testa.

Cesare, scende in strada e si avvia a passo sicuro verso casa della nuova amata. Via dè Foscherari.
La tragedia
Cos’era stato? Chi e perchè? Tutto intorno comincia lentamente a sbiadire: le luci, i colori, i rumori. A Cesare resta solo un ronzio nelle orecchie, un ronzio continuo che copre le grida dei passanti. Già, i passanti. Sono qui di fronte a me eppure le grida sembrano così lontane. Una sensazione di calore si irradia dalla nuca al resto del corpo. Un calore interrotto dai freddi rigagnoli che scendono ricalcando il profilo del volto riverso a terra. Che sia sudore? No, non è salato. Questo sapore metallico è inconfonibile. I rivoli color vermiglio prendono a cadere copiosamente offuscando il campo visivo fornendogli prova dell’ineluttabile fatalità della vita. Dunque è questa la mia fine. Proprio ora che avevo deciso di vivere un nuovo inizio.
Mentre tutto intorno si fa scuro e ovattato, una sagoma si staglia netta tra la folla. Quella sagoma si fa spazio fra gli ultimi pensieri di Cesare che agonizzante e con fiebile voce pronuncia un nome: Antonio Lini.
Poi l’oblio.
Antonio Lini
Che sia il nome in cui la vittima ha identificato il suo carnefice? La folla si guarda intorno, sgomenta, insospettita. Occhiate accusatrici tagliano l’aria come lame posandosi ovunque e trapassando chiunque, fameliche di verità. Che fosse stata davvero di Antonio Lini la mano che pose fine alla vita di Cesare? Questo non c’è dato sapere. Certo è che quel nome –Antonio- cominciò a girar di bocca in bocca per tutta Bologna. Dai vicoli alle strade maestre, dalle osterie ai palazzi senatori non si faceva che parlar dell’accaduto. Le cattive notizie si sa, corron veloci più del vento e in men che non si dica giungono fino alle orecchie di Antonio Lini.
Antonio realizza subito la gravità della situazione. Teme per se stesso e si precipita a casa Caccianemici. La famiglia è affranta dal dolore. I pianti interrotti dai singhiozzi si sentono fin dalla strada. Antonio vorrebbe essere ovunque fuorchè lì, in quella casa, in quel momento. Ma deve assolutamente chiarire la situazione o per lui sarà la fine. Si fa coraggio, bussa al pesante portone. Qualcuno gli apre, non bada nemmeno a chi, è troppo preso dalle parole che a breve dovrà prounciare per salvarsi la vita. Sale le scale a due a due ed entra trafelato nel salone dove è riunita la famiglia in lutto. Si ferma. Immobile. Fa un profondo respiro e si rivolge al vecchio padre di Cesare: Cristoforo Caccianemici.
Lo guarda dritto negli occhi spezzando il silenzio con voce ferma e decisa: Cristoforo, mi dolgo della disgrazia che si è abbattuta così tragicamente sulla vostra famiglia. Girano voci, voci malevole e infondate che temo esser giunte fino a Voi. Dovete credermi ch’io non c’entro nulla con la scomparsa di vostro figlio. Seppur in passato fra noi ci sono stati dissapori e screzi, si è sempre trattato di faccende di poco conto, nulla che potesse sfociare in un crimine di così brutale violenza. Non sarei mai capace di un simile gesto, lo giuro qui di fronte a Voi. Lo giuro sul mio Onore e rivendico la mia innocenza, Dio mi è testimone!
Nella stanza il gelo. Le parole di Antonio rimbombano ancora nella sala quando il vecchio Cristoforo abbassa lo sguardo. Gli occhi vitrei, assenti, si volgono verso la bifora, quasi a cercare la luce di cui sono stati privati. Quella luce spenta dalla consapevolezza di aver perso un figlio per sempre.
Antonio stringe le mani in segno di cordoglio ad alcuni famigliari. Pare abbiano accolto con sincera commozione la sua dichiarazione: è riuscito a convincerli della propria innocenza. L’animo comincia a sollevarsi confortato da una pacata rassicurazione. Quanche minuto di preghiera e si congeda dirigendosi verso l’uscita. Ce l’ha fatta: è salvo.

Casa Caccianemici, Via de’ Toschi, Bologna.
Onore e vendetta
Scendendo lo scalone incrocia Bartolomeo, il fratello di Cesare. Lo sguardo cupo, iroso, di chi invoca rivalsa spietata. Gli occhi dei due si incrociano per un breve, interminabile istante. In quel preciso momento, Antonio comprende di essere gravemente in pericolo e che a nulla servirà prounciare altre parole di innocenza. Occorrerà molto, molto di più per scampare all’ira di chi ha l’animo divorato dalla sete di vendetta.
C’è solo una cosa che può fare, un ultima carta da giocare: Giovanni Bentivoglio. Solo lui può intercedere in sua protezione. Solo lui ha il potere di metterlo in salvo.

Giovanni II Bentivoglio, ritratto di Lorenzo Costa
Perchè il Signore di Bologna dovrebbe prendere posizione difendendo un potenziale assassino? Ovviamente ci sono in ballo alleanze, intrighi, potere. Antonio si è sempre dimostrato fedele sostenitore della Signoria bentivolesca riportando con minuzia di particolari i piani di cospirazione tramati nei palazzi senatori e negli ambienti ecclesiastici orchestrati da insospettabili prelati. Dunque una risorsa preziosa di cui i Bentivoglio beneficiano a proprio vantaggio.
Antonio, certo dell’aiuto, non perde tempo e si precipita in strada San Donato. Il portico è avvolto da un silenzio quasi surreale o forse è lui che non ode nulla fuorchè il proprio passo spedito e il suono del manto il cui drappeggio fluttua stropicciato dal vento. Appena intravede il luccichio dei capitelli d’oro zecchino di Palazzo Bentivoglio gli sale un nodo alla gola: da questo incontro dipende la sua stessa vita. Ma non è il momento di lasciarsi sopraffare dai timori. Doveva solo risolvere questa seccatura dei Caccianemici e tutto sarebbe tornato alla normalità.

Palazzo Bentivoglio, via San Donato (attuale via Zamboni)
In men che non si dica eccolo di fronte agli armigeri che presiedono il sontuoso portale d’ingresso. Riconosciuto Antonio, le guardie gli cedono il passo e lo scortano all’interno dei giardini del Palazzo, fino alla prima fontana, dove Giovanni Bentivoglio è seduto accanto a un’imponente scultura.
Giovanni lo ascolta in silenzio poi sentenzia. Ci penserò io, non temete. Andrò domani stesso a garantire per Voi presso i Caccianemici. Ora andate a casa, è stata una giornata estenuante, avete bisogno di riposo.
Ovviamente il suo intento non è tanto quello di intercedere per un amico, quanto quello di ribadire la supremazia del proprio potere ai membri della famiglia senatoria bolognese -i Caccianemici- potenziali oppositori della sua Signoria. Il fine ultimo di Giovanni è dunque strategico, lungi dagli ideali di verità e giustizia.
L’indomani Giovanni viene ricevuto a casa Caccianemici ed ottiene garanzia dal vecchio Cristoforo che nessuno avrebbe osato arrecare alcun danno ad Antonio Lini, suo protetto. Ma le promesse nel 1400 lasciano il tempo che trovano, persino di fronte a un Bentivoglio. E fu così che qualche giorno più tardi a Giovanni giunge voce del fattaccio: Antonio Lini è stato brutalmente assassinato per mano di Bartolomeo Caccianemici, fratello del defunto Cesare!
Giovanni si fa paonazzo di rabbia. Come hanno osato tradire la parola data! Qui ne va del mio onore e del mio prestigio. Non posso certo far finta di nulla di fronte a un simile affronto. La mia risposta sarà solerte e incisiva. Che sia da esempio per tutte le famiglie che a Bologna tramano e cospirano a miei danni. Così dicendo indossa l’armatura, si dirige verso San Giacomo Maggiore, proprio di fronte al palazzo e ordina di suonare le campane. A quel suono un gruppo di suoi fedelissimi si raduna armato di spade sguainate pronto a eseguire gli ordini. A fuoco casa Caccianemici! Distruggete il palazzo senza pietà, sono vili traditori!
Detto fatto: fuoco, sangue e distruzione. I Caccianemici superstiti vengono confinati a Mantova e Faenza. Bartolomeo, fratello di Cesare e assassino di Antonio, è bandito a vita da Bologna. I Caccianemici che rivestivano cariche senatorie sono strategicamente sostituiti con persone vicine ai Bentivoglio.
Quella stessa sera Giovanni si corica stremato dai combattimenti. E’ stata una grande opportunità riaffermare la supremazia bentivolesca. Sono tempi in cui può essere rischioso mostrarsi troppo tolleranti. Occorre rigore, anche a costo di versare sangue. Non è facile essere Signori di Bologna quando tutti tramano alle tue spalle per derubarti del potere. Alcuni mi criticano ma il pugno di ferro permette di mantenere il controllo della città. Ho grandi progetti per Bologna.
Il sole riflette la luce del tramonto sulle colonne dorate di Palazzo Bentivoglio. Giovanni è orgoglioso del suo operato, sposta le spesse tende di velluto blu cobalto facendo buio nel letto a baldacchino. Chiude gli occhi e cade subito in un sonno profondo. Domani sarà un nuovo giorno: un altro giorno per governare e un nemico in meno contro cui lottare.

Cappella dei Bentivoglio, San Giacomo Maggiore -Foto Klausbergheimer
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